Il
territorio dove oggi sorge Donnalucata ha visto la presenza umana, fin da tempi
antichissimi, ed in particolare di una delle prime popolazioni siciliane: i
Sicani; tesimonianze di ciò (strade e tombe) sono state ritrovate in contrada
Maestro.
Pindaro nelle Olimpiche la descrive come luogo selvaggio e affascinante, e le
cui popolazioni erano dedite per lo più alla pastorizia e alla lavorazione della
selce.
Notizie riguardo al periodo greco, attestano poi la presenza di una fonte sacra
a Cerere, con alta probabilità laddove ancora oggi vi è una sorgente sulla
spiaggia di Micenci. Tale sorgente era protetta da un muretto per evitare che il
mare o la sabbia la invadessero, come accade oggi, nonché da almeno due soldati
di guardia. Sostiene il Pluchinotta che la spiaggia fosse conosciuta già da
tempo perché vi si teneva un importante mercato di schiavi a cui era stato dato
inizio dai fenici, i quali si recavano sulle coste donnalucatesi anche per la
raccolta del corallo che abbondava in quel periodo e sino al XVIII secolo.
Scrive
riguardo alla fonte l’abate Amico: “Enim duo sunt fontes, uti Aretius
declarat et carissime vel in littore stantes, vel e proximo magnifica turri
eiusdem nomini, que in tumulo exurgit, prospicientes advertunt qui fontem Cereri
sacrum fuisset et circa illum Cerealia olim celebrata, antiqua superstizione
tradivit.
La seconda
fonte a cui fa riferimento l’Amico è secondo alcuni da identificarsi nel fonte
di S. Lucia, mentre per altri era una fonte che emetteva le proprie acque in
mezzo al mare.
La presenza di un forte culto alla dea Cerere non è fenomeno isolato negli iblei
se si pensa che anche la vicina Camarina teneva feste in suo onore e l'aveva
raffigurata anche sulle proprie monete, ciò che emerge dagli scritti dell’Abate
Amico è la grandiosità delle feste cereali, che avevano la finalità di rendere
omaggio e ringraziamento alla dea, ma soprattutto di festeggiare il raccolto
appena compiuto.
La festa aveva luogo nel mese di agosto, e nel periodo cristiano continuò ad
essere celebrata venendo dedicata alla Madonna Assunta. Essa era caratterizzata
da gare di barche (il Pacetto parla di gondole fornite di molti remi che le
facevano non correre ma volare in quel mare) e di cavalli.
Sostiene ancora il Pacetto che proprio il forte sentimento dei locali per questa
celebrazione ha fatto si che la chiesa di Donnalucata (oggi dedicata a Santa
Caterina da Siena) non appena eretta venisse intitolata proprio alla Madonna
Assunta.
Si narra,
altresì, della presenza di un grandioso tempio dedicato alla Dea Diana, del
quale non è stato mai individuato il sito, ma che si pensa si trovasse nei
pressi della fonte similmente a quanto avviene per la fonte Diana a Comiso.
Lo Spadaro parla poi della presenza di un tempio dedicato a Bacco Milicio,
(protettore del sacro fico secondo Ciceri e Pace) edificato dai Nassi, profughi
siracusani che si erano rifugiati nella zona. I ruderi del tempio erano ancora
visibili nel secolo XII.
Tale notizia è avvalorata dal fatto che tutta la zona dove sorgeva tale tempio
ha assunto il nome di contrada Milici trasmettendo tale nome al Santuario della
Madonna dei Milici, che lì sarebbe stato costruito e di cui si dirà più avanti.
Molti studiosi in passato (e fra questi Fra Mariano Perello) ritennero che, dai
resti che era possibile trovare nei pressi di Donnalucata, e che oggi non sono
più presenti, si desumeva certamente come in tale circondario si fosse trovata
la mitica città greca di Casmene.
(Kasmenai).
Altri, tuttavia, dissentono da tale ipotesi, evidenziando come il ritrovamento
in zona di resti della cittadina greca di Monte Casale costituisce certa prova
del contrario, non essendo pensabile che due cittadine così grandi fossero
ubicate così vicine.
Il problema di dove esattamente sia sorta la città di Casmene è stato nei secoli
complicato dal fatto che molti paesi di tutto il Val di Noto e degli Iblei hanno
preteso di esserne discendenti adducendo prove più o meno plausibili (una delle
poche certezze che abbiamo è che si trovasse tra Akrai e Kamarina, ma anche di
Akrai non è certa la localizzazione).
Senza voler entrare nel merito della polemica (che peraltro ci vede come parte
interessata) diamo i dati che possono essere considerati incontestabili.
Casmene fu fondata nell’anno 644 AC secondo Tucidide, nell’anno 607 AC secondo
Cluverio, nell’anno 649 AC secondo Perello, nell’anno 668 AC secondo Palmeri, in
realtà Tucidide sarebbe la fonte più vicina ai fatti se non fosse per il fatto
che quando egli indica le date di origine delle città siceliote dice solo di
quanto fossero posteriori a Megara (una delle prime colonie della Magna Grecia)
e sulla origine di quest’ultima mostra parecchie incertezze poiché spesso le sue
date si differiscono di multipli di 35 anni, dimostrando come egli facesse dei
calcoli approssimativi contando le generazioni. I suoi fondatori furono i gamori,
ossia nobili siracusani, che erano stati cacciati dalla loro città dai cilliri o
plebei; Mariano Perello ci da persino i nomi dei due gamori siracusani che
avrebbero gettato le fondamenta della nuova città, o che per lo meno sarebbero
stati i capi della colonia venuta a popolarla: Dascone e Menecolo. Il nome della
città secondo Bochart sarebbe di origine cartaginese, Chasmenim, che vorrebbe
dire appunto città dei nobili. Casmene fu poi distrutta dai cartaginesi stessi
in epoca imprecisata. Si vuole che in essa abbia avuto i natali Simmia, filosofo
dell’antichità che molti confondono con Simmia di Rodi. Secondo Mugnos vi morì
Eschilo.
Nel 252 a.C., ancora in piena epoca greca, durante la guerra tra Siracusa e la
lega delle città che le si erano ribellate capeggiate da Kamarina, venne
combattuta a Donnalucata una grande battaglia da due possenti eserciti.
Le città ribelli (tra esse Ibla, Scicli e Modica) mandarono i propri soldati a
congiungersi lungo la riva orientale del fiume Irminio, tale esercito guadò il
fiume e si diresse verso la marina di Donnalucata dove ebbe luogo la battaglia
che poi si concluse con una netta vittoria dei siracusani, molti ritengono che
tale sconfitta diede inizio al declino di Kamarina.
In tale
periodo vi era, secondo il Pluchinotta, un importante porto fluviale in C.da
Maulli, sul fiume Irminio che allora era navigabile in quanto il suo percorso
era circondato da boschi e foreste. Detto porto era approdo privilegiato per il
carico di merci anche per la vicinanza con la colonia che si trovava in C.da
Maestro.
L'origine del nome Donnalucata deriva dalla sua antica sorgente. Un viaggiatore
Arabo, Al Idris (poi latinizzato in Odrisi) inviò infatti al Sultano Saladino
una relazione in cui diceva di aver trovato una fonte che sgorgava cinque volte
al giorno, ad ore ben precise e corrispondenti alle ore delle preghiere
mussulmane. Disse di aver trovato "Ayn-Al-Awqat", ovvero fonte delle ore,
che latinizzato divenne Donnalucata. Tale notizia è confermata anche dallo
scrittore Masâlik Al 'Absar. Il nome della fonte passò poi ad indicare il luogo.
Si è ritenuto in passato di poter individuare detta fonte (che non più protetta
dall'azione del mare avrebbe perso la sue caratteristiche) nelle "Ugghie"
(sorgenti d'acqua dolce) sul lido di Micenci.
Per quanto poi riguarda il presunto “miracolo” è plausibile che la fonte in
questione sgorgasse tutto il giorno, ma che fosse visibile solo durante la bassa
marea, al tramonto, e coincidente con l’ora della preghiera.
A cavallo dell'anno Mille Donnalucata, così come tutto il resto del territorio
sciclilitano, era contesa tra Normanni e Saraceni. Nel 1091 ci fu, secondo la
tradizione, un epico scontro in cui i Normanni (cristiani), sebbene di molto
inferiori nel numero, guidati dal conte Ruggero d'Altavilla, ebbero la meglio
sulle truppe dell'Emiro Bell Khan grazie ad un intervento della Madonna su un
cavallo bianco (Madonna dei Mulici o delle Milizie).
Il «barbaru Ammiro Belcane» della tradizione è Badr Al Gamali emiro del
Califfo Maadd Al Munstansir, che con la sua potente armata di 600 chelandie e
60.000 uomini, una delle più grandi mai sbarcata in Sicilia nell’antichità,
messo piede nel litorale che va da Sampieri a Plaja Grande, avrebbe tentato di
riconquistare tutta l’isola già liberata da Ruggero il Normanno.
Nel luogo della battaglia fu costruito un santuario, dedicato alla Vergine
Guerriera, e contenente tra l'altro l'impronta impressa sulla pietra del Suo
cavallo. Il Santuario distrutto da un terremoto nel 1693 fu ricostruito nel
1721.
Secondo il Di Lorenzo e le altre fonti posteriori, la prima costruzione (o forse
ricostruzione e ingrandimento di un precedente tempietto) fu fatta nel 1093,
sotto Enrico IV Imperatore e Urbano II Papa, (come aggiunge la lapide, ancora
conservata, del 1664-1665) «cum limosina de fidili Kristiani». È
probabile che il Gran Conte abbia contribuito, come fece in altre parti della
Sicilia, con le sue generose elemosine, anche la citata memoria pare escluda la
sua partecipazione alla battaglia, vinta dalla fede e dal coraggio del popolo
sciclitano.
Secondo gli antichi ebrei (registri di conti) e altre testimonianze, Chiesa ed
Eremitorio sarebbero stati restaurati nel 1391, otto anni prima della visita
fatta all’eremita custode del santuario fra Pietro Di Dio, dal Beato Guglielmo e
dal Di Lorenzo.
Il nome «Milici», è tuttavia opportuno precisare, va messo in relazione non al
termine «Milizie», ma al tempio dedicato a Dionisio Bacco «Milicio» di cui si è
scritto pocanzi.
Secondo il Perello, a quanto riferisce il Carioti, la primitiva chiesetta della
Madonna delle Milizie in località «Casale», fu edificata nel 632 e poi distrutta
dai Saraceni.
L’attuale campanile del Santuario è in realtà una delle torri bizantine più
antiche e meglio conservate della Sicilia. La sua origine risale all’anno 800
come era possibile leggere sulla massiccia porta di ferro di cui era dotata.
La torre, che i Normanni continuarono ad usare come posto di guardia, venne poi
adattata a campanile, intorno al 1470, perché questa è la data incisa nella
campana che vi si trovava fino all’ anno 1920, quando venne portata dalla Chiesa
Madre. A questo stesso periodo si può far risalire la statua in calcare della
Madonna col Bambino in braccio e una colomba sulla destra (ora nella Chiesa di
Donnalucata) che, per la pregevolissima fattura, sembra risentire dell’influsso
del primo Gagini.
La Chiesa e il Romitorio sono invece legate alla tradizione della battaglia fra
saraceni e cristiani nel 1091. La storicità di questi eventi è confermata dalla
documentazione a noi pervenuta, criticamente vagliata. Secondo il Carioti, ai
piedi c’era un bassorilievo raffigurante l’evento del 1091 e un’iscrizione. Ma
la statua più antica, risalente alla fine dell’XI secolo, come dice il Di
Lorenzo, aveva una spada in mano e portava una diversa iscrizione. Sempre il
Carioti ci descrive lo stato della Chiesa prima della ricostruzione del 1721.
Aveva undici altari e numerose opere d’arte, delle quali la più pregevole era la
grande tela di Lazzaro, opera di Narcisio Guidonio (1602). Interessante è la
particolare descrizione del pavimento in ceramica, ingombro di figure e scene
variopinte, che purtroppo è stato asportato negli anni '40 e sostituito in tempi
recenti con mattoni di pietra locale.
Risale poi
alla dominazione aragonese un episodio degno di nota e riferitoci dal Solarino,
allorquando Ruggero di Lauria, essendo diretto con le proprie galere alla
conquista di Malta ancora in mano agli angioini, si fermò sulla spiaggia di
Donnalucata a rinfrescarsi al fonte già allora molto noto (il Solarino parla di
acqua che è della più buona e sana del mondo) nonché a prepararsi
all’attacco.
Nel 1721-22 la Chiesa e l’Eremitorio, gravemente danneggiati dal terremoto del
1693 (solo la torre sarebbe rimasta in piedi) furono ricostruite “con più
polito e grato disegno e ornamento di stucchi e pitture” ma secondo le
misure precedenti, dal ricco e benemerito Sacerdote D. Paolo Sammito.
I quadri che l’ornavano sono attribuiti dal Carioti a uno stesso pennello.
Qualche decennio dopo, l’altare maggiore venne decorato dal bellissimo quadro
della Madonna a Cavallo del pittore romano Pascucci, che negli anni 1920 venne
portato a S. Matteo e sostituito con un altro sempre della Vergine a Cavallo,
riferibile al 1600. In questi anni mastro Simeone Messina da Scordia, a spese
del Sammito, fece gli stucchi che ornano la chiesa: “i pilastri scorniciati,
con basi, capitello e friscio; il cornicione con dentello e cagnolato che gira
per tutta la chiesa; le ghirlande sopra l’arco maggiore con lo stemma del
Sammito, un’aquila con le ali aperte, e ai lati due puttini”.
Particolarmente curata fu la cappella absidale, con ai lati dell’altare quattro
colonne tortili e due grandi angeli, e sopra la trabeazione due puttini col
cartiglio. L’insigne benefattore voleva rendere la chiesa sacramentale e in
seguito alla richiesta del magistrato, il Carioti stesso, da pochi giorni
nominato arciprete della Chiesa Madre, aveva dato il suo consenso, con atto del
28/5/1722 in notaro Biagio Mirabella. Purtroppo non se ne fece nulla, perché il
Sammito non provvide al lascito per il mantenimento dell’eucaristia, prima della
sua morte, avvenuta il 12/8/1723.
Riguardo alla famosa «Impronta Prodigiosa» del piede della Vergine che
ancor oggi si conserva nella parte posteriore della Chiesa, custodita da un
piccolo tempietto a pianta circolare, si hanno testimonianze risalenti ai primi
del 1600. Ma poiché nelle memorie più antiche la Madonna appare su una nuvola in
cielo col bambino in braccio, si è portati a credere, pur nel rispetto della
secolare tradizione degli sciclitani, che la Vergine a Cavallo, raffigurata in
numerosi quadri del ‘600 e ‘700 e la sua ‘Impronta’ siano una modifica e
aggiunta posteriori (forse del 1500).
Nella memoria del Di Lorenzo non è fatto alcun cenno a un impronta di piede
lasciata nella roccia dalla Vergine o dal suo cavallo. Anzi ciò viene escluso
implicitamente, perché la Madonna non appare a cavallo in mezzo ai combattenti
ma in cielo col bambino in braccio e la spada nella destra. Il primo che parla
dell’impronta del piede del cavallo è il notinese Rocco Pirri che nella sua
prima edizione della «Sicilia Sacra» (Palermo 1638-41), dopo aver
riportato il passo del P. Inchofer sull’apparizione della Madonna a cavallo,
aggiunge: «Adhuc vestigia equi visuntur» (Ancora si vedono le orme del
cavallo).
D. Francesco Buono nella sua vita di S. Guglielmo (Palermo 1652), citando questi
due autori, afferma anch’egli che «la Vergine lascia l’impronta del piede del
cavallo sulla roccia» e poi si dilegua in cielo. Anche l’Alberti dice che la
Madre di Dio, dopo la vittoria, «diede di volta al suo cavallo e tornata al
luogo dove prima era apparsa vi lasciò impressa in una dura pietra le orme del
suo cavallo». Riferisce poi l’opinione del P. Guppenberg secondo il quale
l’orma sarebbe del piede della Madonna, impressa nello smontare da cavallo. Il
P. Stanislao dà più credito al Pirri, ma non vuole rigettare come falsa la «seconda
tradizione perché a questo tempo non si può discernere se sia pedata umana
ovvero di cavallo: colpa della divota curiosità delle genti in toccarla e del
tempo, che in 600 anni e più l’ha in qualche parte smaltita».
Il Carioti ricorda il memoriale presentato dai giurati dell’Università di Scicli
al re di Spagna Carlo II nel 1672 per la conferma del titolo di “Città
Vittoriosa” a Scicli. In esso è detto che «la Vergine.., lasciò sulla pietra
le vestigia e rampe del cavallo, che fin oggi si scorgono e conservano nella
chiesa in tal memoria eretta nell‘istesso luogo ove successe la miracolosa
battaglia». La chiesa fu detta S. Maria Militum e la città ebbe il nome di
vittoriosa, come raccontano il P. Inchofer e il Pirri. L’arciprete riporta
ancora la lettera del Vescovo di Siracusa Mons. Matteo Trigona datata Palermo
15/2/1736 e indirizzata al Card. Gentile per impetrare dalla S. Sede l’ufficio e
la Messa alla Gran Signora delli Milici. In essa il prelato riferisce la
costante tradizione dell’apparizione della Vergine a cavallo e dell’erezione nel
1093 del tempio «ubi lapidibus impressum equini pedis vestigium celebre
observatur» (dove si osserva la celebre impronta del piede di cavallo
impressa nella pietra). Anche l’Eremitorio, che venne ricostruito e ampliato dal
Sammito, è famoso per avere ospitato santi eremiti, tra cui il Ven. Fra Pietro
Lutri, e soprattutto Fra Mariano Perello.
Altre opere furono fatte nella seconda metà del ‘700 dagli amministratori
nominati dall’Università di Scicli. Infatti, fin dai tempi Normanni,
l’amministrazione del Santuario fu affidata al Comune di Scicli.
I ritratti in tela dei procuratori deI ‘600, ‘700 e prima metà dell’800 furono
vandalicamente distrutti dai rifugiati del colera del 867. Dopo l’incameramento
dei beni ecclesiastici, lo zelante Frate Minore sciclitano Antonino Pisani lo
riscattò e lo riadattò a convento e poi noviziato francescano. Il novizio più
famoso fu il grande predicatore P. Giuseppe Balestrieri.
Il XVII
secolo fu disastroso: nel 1612 il borgo fu distrutto da un'inondazione seguita
ad un nubifragio, ci fu subito dopo un periodo di siccità che culminò con
un'invasione di cavallette che distrusse i campi, fonte principale di
sostentamento. Siamo nel settembre 1619. Nel 1626 sulla spiaggia di Donnalucata
furono ritrovati degli indumenti, probabilmente provenienti da una nave
appestata, che causarono la Peste a Scicli (e solo a Scicli in tutta la Contea).
Infine nel 1693 fu colpita da un terremoto e dal conseguente maremoto.
Durante tale periodo la zona era stata ceduta dal nobile Fabiano Arizzi a
Giuseppe Miccichè che a sua volta l’aveva ceduta alla famiglia Mirabella che
ancora l’avevano venduta ai gesuiti. Ci riferisce il Pacetto che in tale periodo
il nome di Donnalucata, derivato dalla fonte, era stato assunto non solo dalla
zona, ma anche da una torre (probabile riferimento alla “torre saracena”), di
proprietà del barone Miccichè, che aveva funzione di protezione della borgata.
La stessa sorgeva su una torre precedente che risaliva secondo lo Spadaro
addirittura al XIV secolo ed era stata costruita, assieme a molte altre nella
zona, su disposizione del Vicerè D. Giovanni Di Vega.
Il ‘600 fu anche il secolo che vide la presenza a Donnalucata di Frà Mariano
Perello.
Grande pensatore, al Perello si devono un opera sulla vita di S. Guglielmo
Eremita (1640), una sulla vita di S. Agata (1648) e un volumetto di poesie
siciliane che raggiunse una tale importanza che lo storico Pacetto ne cita una
strofa per averla appresa da una raccolta dedicata ai più grandi poeti siciliani
(“Tantalu si nun pà l’acqui bramati. Viviri, c’è cuncessu di taliari. ‘A mia
ppi chiù pena e crudiltati. M’è proibitu anch lu guardari”).
Il Perello scrisse altresì un opera su Ibla minore (“Hibla Novissima”),
ma la sua opera più importante è probabilmente “Sicilia Greca”
importantissima opera di numismatica, contenente tra l’altro i disegni di monete
greche e romane che lui stesso aveva ritrovate. Quest’opera è disgraziatamente
andata perduta poiché non pubblicata, ma lasciata in eredità alla famiglia
Spadaro alla morte del Perello. Della sua stessa morte non si conosce la data
esatta poiché i libri parrocchiali andarono perduti nel terremoto del 1693, si
presume comunque che la data si aggiri intorno al 1670.
Fu comunque sepolto alla sinistra dell’altare maggiore del convento delle
Milizie, è la sua tomba, ritrovata nel 1992, è connotata dal simbolo della
famiglia (delle piccole pere) e dall’ iscrizione :“Haec estrequies Fra tris
D. Mariani Perello S.R.H.”, la sigla sta per sacerdo religionis
hierosolimitae quale era e come è plausibile abbia voluto fosse scritto
sulla sua tomba.
In seguito
alla cacciata dei gesuiti la città passò ai Penna, il Pacetto ci riferisce del
barone Guglielmo Penna e del figlio Antonio Penna Grimaldi, che vi avviarono la
costruzione della villa a monte della città e dell’attuale palazzo Mormino
Penna.
Donnalucata affina la sua vocazione marinara durante il Risorgimento quando è il
porto privileggiato per i contatti con gli esuli politici che si trovano a
Malta. Grazie anche a questo si ottiene nel 1840 la costruzione della strada
Scicli-Donnalucata.
A questi anni risale il primo documento pervenutoci e attestante notizie su
Donnalucata.
Si tratta della planimetria del 1848 di proprietà della famiglia Pinzero Leotta;
da essa appare come all’epoca nel paese vi fossero 2 categorie di abitazioni: le
ricche e grandi ville patrizie di proprietà delle famiglie nobiliari sciclitane
e le piccole e basse casette dei marinai del posto, tutte addossate le une alle
altre.
L’assetto urbanistico di allora era notevolmente diverso da quello odierno
tuttavia già nell’ottocento il centro della borgata appariva essere il crocevia
tra la via Casmene e la via Busacca (oggi via Pirandello).
Con l'unità d'Italia viene ribadita la posizione di Donnalucata quale borgo
mediterraneo principale della provincia di Siracusa. Nel 1878 vengono iniziati i
lavori di costruzione della chiesa di S. Caterina da Siena (terminati nel 1883)
che ebbero particolare importanza perché la creazione di una parrocchia era il
primo passo affinché Donnalucata cominciasse ad essere considerata un vero
paese.
Il merito principale per la costruzione della chiesa di Donnalucata và
senz’altro a Monsignor Giovanni Blandino che fu Vescovo di Noto dal 1832 al
1913. Questi conosceva la allora piccola borgata di marinai perché vi si recava
d’estate ospite della famiglia Penna, e vide come l’unico luogo dove il servizio
religioso potesse essere espletato era la cappella della villa della famiglia
Penna che peraltro era a questo fine messa a disposizione.
Così era sin da quando, nel 1693, il terremoto aveva distrutto la cappelletta
interna alla Casina Miccichè.
Il primo comitato cittadino per la costruzione di una chiesa si costituisce il
22 Giugno 1873 presieduto dal preposito D. Pietro Paolo Spadaro, ma vi sono due
persone che in tempi diversi svolgeranno un ruolo determinante: si tratta del
farmacista Guglielmo Pinzero e del canonico Guglielmo Conti; il primo, che fu
anche consigliere comunale in Scicli e che servì la chiesa come confrate, fu
attivissimo durante la sua costruzione proprio per il suo fervore cattolico, il
secondo ebbe se possibile un ruolo ancora più importante in quanto oltre a
sovrintendere alla costruzione della chiesa, che fu invero abbastanza laboriosa,
si occupò anche di tener informata la Curia netina dei progressi.
Nel momento in cui si decise di costruire la chiesa due furono i problemi
principali da affrontare: in primo luogo dove costruire la chiesa e, dipoi, dove
trovare i soldi occorrenti.
Il primo problema fu abbastanza serio (benché apparentemente più semplice del
secondo) per il fatto che il centro della borgata era occupato non solo dalle
case dei marinai residenti ma anche dalle case di villeggiatura che le famiglie
nobili sciclitane avevano costruito o si andavano a costruire (come si nota da
una planimetria della borgata del 1848). Si scelse di costruire sul sito attuale
che non solo era un po’ fuori paese ma che dando sul lido di ponente era
ricoperto da alte dune di sabbia, e questo fece ancora aumentare i costi di
costruzione che fu il secondo problema affrontato. Si era infatti in tempi di
ristrettezze economiche e soprattutto gli abitanti di Donnalucata erano povera
gente, per questa ragione si chiese di stanziare una somma al consiglio comunale
di Scicli, questo deliberò solo a seguito di varie sollecitazioni del Pinzero e
dello stesso Mons. Blandini e, oltretutto, decise di rigettare la domanda.
Il comitato non si arrese, anzi fece un punto d’onore la realizzazione della
chiesa e cominciò una raccolta fondi alla quale parteciparono dai marinai
donnalucatesi alle famiglie nobiliari sciclitane, ognuno per quello che poteva,
e altre somme furono raccolte da tutte le parrocchie del circondario, soldi
arrivarono anche da donnalucatesi e sciclitani che si trovavano all’estero e la
costruzione procedette anche se a rilento. La costruzione fu ultimata il 12
Luglio 1885 e fu il Conti che ne diede notizia a Mons. Blandino.
La chiesa neoeretta venne dedicata alla Madonna Assunta e fu considerata
dipendente dalla chiesa Madre di Scicli. In principio l’attività liturgica
veniva posta in essere da frati provenienti dal vicino convento delle Milizie ma
la situazione era abbastanza precaria e si sentiva la necessità di un parroco
stanziale. Per questa ragione fu nominato su pressione dello stesso Mons.
Blandino padre Francesco Cottone.
Ben presto sorsero però dei contrasti tra il Cottone che, a dire delle autorità
ecclesiastiche del tempo, si muoveva in maniera molto indipendente e trasgrediva
i suoi doveri pastorali, e la Curia di Noto, contrasti dinanzi ai quali, forse
per eccessiva debolezza d’animo, la chiesa sciclitana si mostrò impotente.
Il passo successivo fu fatto dal Vescovo seguente, Mons. Giuseppe Vizzini, il
quale ebbe l’onore di erigere a Parrocchia la chiesa di Donnalucata sotto il
titolo di S. Caterina da Siena; era l’otto dicembre 1918 e primo parroco fu il
netino Corrado Morello.
In quello stesso periodo il centro cittadino contava circa 600 abitanti, ma la
borgata aveva anche iniziato ad essere punto di riferimento per chi viveva nelle
campagne circostanti infatti venne anche istituita una scuola per i bambini del
luogo affidata, come scrive Concetta Cataudella, alla direzione di una maestra.
Una ditta
tedesca costruisce, nei primi del 900, all'entrata del paese il cosiddetto "garage"
(noto per lo stile liberty) che serviva come rimessa per i carichi di pece,
estratta nelle cave tra Scicli e Modica, in attesa di essere imbarcati per la
Germania.
Tanto le cave quanto la rimessa furono poi confiscate dal governo italiano come
preda di guerra successivamente alla conclusione della prima guerra mondiale.
Nel 1927 si costituisce il Consorzio di irrigazione dell'Agro di Donnalucata per
un miglior sfruttamento delle ingenti risorse idriche, ad esso seguì la
costituzione di un Consorzio di Bonifica per le molte zone paludose nella valle
dell'Irminio. Si inizia a praticare diffusamente la serricoltura, che consente
la coltivazione intensiva delle primizie e dei fiori.
Grazie a queste iniziative è stato possibile dare un forte impulso
all’agricoltura, che faticava in passato a causa della scarsa piovosità e quindi
della carenza d’acqua della zona.
Sempre in tale periodo si assiste all’abbandono del Convento presso il Santuario
della Madonna delle Milizie che viene acquisito dalla Pia opera Busacca e poi
rivenduto a dei privati.
Nel secondo dopoguerra il boom economico genera un aumento della popolazione e
quindi investimenti nel campo dell'edilizia, operati sia da nuovi residenti che
da sciclitani che a Donnalucata costruiscono una seconda casa per le vacanze
estive. L'incremento edilizio è visibile oltre che nella costante espansione di
Donnalucata anche nella nascita di un vero e proprio "borgo" periferico in
quella che solo alla fine degli anni '70 era la campagna di contrada Cannamara,
e nella creazione pianificata ex nihilo di un villaggio residenziale a
Playa Grande.
Sempre negli anni ’70 grazie alle elemosine della comunità vengono restaurate
all’interno del Santuario della Madonna delle Milizie la grande tela del ‘600 e
la splendida statua della Vergine del ‘400.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
-
A. Carioti, Frammenti
delle memorie sacro-storiche sciclitane, Ms., Biblioteca Comunale di
Scicli.
-
B. Cataudella, Scicli.
Storia e tradizioni, Catania, 1971.
-
C. Cataudella, Scicli
uomini e cose nel passato e nel presente, Modica, 1919.
-
G. Pacetto, Memorie
storiche, civili ed ecclesiastiche della città di Scicli, Ms.,
Biblioteca Comunale di Scicli.
-
M. Perello, L'antichità
di Scicli anticamente chiamata Casmena : seconda colonia siracusana,
1879.
-
M. Pluchinotta, Memorie
di Scicli, Scicli, 1932.
-
B. Spadaro, Relazioni
storiche della città di Scicli, Noto, 1843.
-
M. Trigilia, La Madonna
dei Milici di Scicli, Modica, 1990.
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